L’educazione sessuale: dalle case chiuse ai millennials

C’erano una volta anche in Italia, fino a non troppi anni fa, le case di prostituzione o case chiuse. I bordelli o postriboli, le case di tolleranza, quelle che ai tempi dell’antica Roma – si, esistevano e funzionavano anche allora – venivano chiamate lupanari.

I luoghi deputati al piacere sessuale mercenario erano cosa comune, naturale, benché sempre deprecata dalla popolazione di alto rango, che pure li frequentava (quelli a loro riservati, si intende) indossando maschere e parrucche, senza troppi problemi.

Era qui sin da allora, che avveniva il rito magico e imprescindibile dell’iniziazione dei giovani maschi all’età adulta, la prima forma di educazione sessuale che i ragazzi ricevevano dalla vita.

L’esistenza dei bordelli era cosa tanto normale che, si narra, persino un uomo dai costumi rigidi e severi come Catone il censore (234 a.C. circa – 149 a.C.), ebbe a congratularsi con un giovane quando uscì da un postribolo, perché aveva fatto il suo tirocinio e soddisfaceva i suoi istinti nel modo più tranquillo ed opportuno. Notandolo però frequentare piuttosto spesso quel luogo, contrariato dal fatto che la sua frequentazione oltrepassava i limiti della pura educazione sessuale, gli avrebbe poi detto: «Ti ho elogiato perché ci sei venuto, non perché ci abiti».

Dunque le case chiuse, avevano, tra le altre, la funzione di una “scuola di sesso atte all’educazione sessuale. Era qui che, accompagnati dal padre, ai giovani veniva per la prima volta svelato il mistero dell’essere “grandi”, quell’aspetto intimo della vita che era un regalo degli idei, da onorare e “fare bene”. Nessun genitore poteva sottrarsi al suo ruolo di accompagnatore e nessun giovane poteva rinunciare al suo avviamento, pena dover essere per sempre irriso per la sua mancanza di virilità.

Nei secoli le cose sono cambiate di poco. Nelle case chiuse, un tempo regolamentate, milioni e milioni di giovani hanno imparato cosa fosse possibile e cosa non fosse opportuno fare con una donna, come farlo senza apparire ridicoli, correre rischi o farsi male. Quello che non apprendevano, perché le case chiuse erano luoghi sudici e malsani, era proteggersi.

In epoca fascista, esattamente nel 1923, per contrastare le malattie veneree arrivò però l’obbligo di profilassi delle malattie veneree, garantita (per lo meno nelle intenzioni) da rapporti periodici igienico-sanitari sulle “operatrici del piacere”. C’erano dei ginecologi pagati dallo Stato – i tubisti – che venivano incaricati di visite periodiche alle donzelle, che in caso di malattia si sarebbero dovute astenere dal mestiere. Certo, esistevano le pressioni da parte delle tenutarie, ma esisteva anche chi vi resisteva con tenacia e obbedienza al regime.

E così, anche ai meno abbienti, veniva garantita una forma di “istruzione” ed educazione sessuale al piacere, una educazione sessuale più o meno controllabile, più o meno omogenea, sempre concreta e fattiva.

L’educazione sessuale durante l’era del sesso libero, dopo la legge Merlin

Poi, nel 1958, venne fuori la legge della socialista Angelina Merlin. E iniziò, per quelle che una volta erano le dipendenti dei luoghi della perdizione, il fai-da-te. E per i genitori cessò l’obbligo di spiegare certe cose prima di accompagnare i figli dalle “lupe” per il giorno del passaggio all’età adulta. E per i giovani cessò l’obbligo di non rifiutare, di doversi per forza educare al “sesso fatto bene”. La rivoluzione sessuale degli anni ’60 fu un fenomeno talmente fragoroso, talmente incontrollato e incontrollabile, che nessuno seppe cosa fare.  «Gli adolescenti – racconta la dott.ssa Cremaschini, grafologa e studiosa del fenomeno dell’evoluzione sessuale –   immersi in un flusso continuo di informazioni e di disinformazioni, privati di veri modelli educativi (famiglia, scuola, società) e indirizzati verso obbiettivi spesso irraggiungibili e distruttivi, sviluppavano personalità fragili, insicure e intessevano relazioni brevi e superficiali. A fronte di un appiattimento culturale di massa, iniziò l’era delle dipendenze, da alcool, droga, cibo, sesso, gioco, pornografia. E la sessualità, simbolo per eccellenza di questa nuova superficialità comune, divenne solo una pulsione da soddisfare e un bisogno da appagare: emblema di emancipazione, libertà e trasgressione».

Educazione sessuale e tempi moderni: quando il maestro è il web

E dopo il caos?

L’ordine, starete rispondendo in coro.

Eppure no, dopo il caos, nel mondo dell’educazione sessuale c’è stato solo altro caos. Sempre di più. E così, dopo il sesso virtuale garantito dalle chat – line telefoniche e dai video che scorrevano a tarda ora sul tubo catodico negli anni ’80 e ‘90, si è arrivati svelti svelti agli anni 2000 e al rapporto tra il sesso e i millennials, quelli del sesso ovunque in rete, sui social network, via chat.

Naturalmente esiste ancora la prostituzione: 100.000 ragazze – di cui un quarto minorenne – battono ancora sulle strade o esercita al chiuso (e queste le chiamiamo escort, che suona moderno), con una clientela che oscilla tra i 2,5 e 9 milioni di persone.

Ma numeri molto più elevati, quasi incalcolabili, riguardano il sesso online e l’educazione sessuale. Dal vecchio 144, che era possibile disattivare con una telefonata alla Sip, si è arrivati al tempo del grande web, che tutto sa, tutto conosce e niente deve imparare. Sul web il sesso non lo devi nemmeno cercare: te lo postano, te lo suggeriscono i banner, le mail, gli amici virtuali continuamente. Per l’educazione al sesso sicuro, che pure esiste, devi invece impegnarti a fare ricerche su siti attendibili di cui nemmeno sapevi l’esistenza. Insomma, non ti viene suggerita a scuola, dai tg, a tavola durante i pasti da mamma e papà, né a catechismo, in chiesa, nei luoghi comuni di frequentazione. E per imparare ad usare un profilattico, dopo aver capito da solo cosa è, quando si usa (per capire di cosa si tratta) e perché è così indispensabile devi interrogare il web. Siccome il web contiene di tutto e chiunque può parlare, non è detto che si peschino le informazioni giuste.